venerdì 24 febbraio 2012

Energie verdi e lavoro ecco l'Italia che ce la fa

Il presidente di Symbola Ermete Realacci racconta in un libro la ricetta per uscire dalla crisi, Dall'economia sostenibile e dall'innovazione 4 nuovi posti su 10 e boom dell'export Energie verdi.

ROMA - Un'impresa su 4 tra il 2008 e il 2011 ha investito in prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e a minor impatto ambientale, con la percentuale che l'anno scorso è schizzata al 57,5 per cento tra le aziende piccole e medie. Queste imprese green sono quelle capaci di competere sui mercati internazionali (con una percentuale quasi doppia rispetto alla media) e di creare occupazione: il 38 per cento dei posti di lavoro nati nell'industria e nei servizi nel corso del 2011 è collegato agli aspetti ecologici della produzione.

Sono i dati da cui parte "Green Italy" - il libro firmato da Ermete Realacci, deputato pd e presidente di Symbola, la Fondazione per le qualità italiane, e appena pubblicato da Chiarelettere - per indicare l'uscita dal tunnel, la via per superare le difficoltà di un paese incerto, che fatica a uscire da una crisi particolarmente dura perché si è saldata a una difficoltà precedente.
I numeri del declino sono impressionanti. Il primo decennio del nuovo millennio ha segnato per l'Italia un record negativo: la crescita è stata la più bassa in tutta l'Unione europea (lo 0,2 per cento annuo contro una media dell'1,1 per cento). La disoccupazione giovanile supera il 29 per cento. L'evasione fiscale viaggia attorno al 17 per cento. Il giro d'affari delle ecomafie sottrae alla collettività 19 miliardi di euro l'anno. Le disuguaglianze, con la metà del paese che si divide il 10 per cento della ricchezza, tagliano le gambe alla crescita.

Eppure, anche con questo zaino sulle spalle, l'Italia ce la può fare, può tornare a occupare un ruolo di primo piano sul palcoscenico globale. A patto di trovare la strada giusta. "Si dice che siamo un paese povero di materie prime: non abbiamo il petrolio, il rame, le terre rare che servono all'elettronica", osserva Realacci. "Ma abbiamo altre materie prime di tutto rispetto: il sole, il paesaggio, la creatività, l'intraprendenza, grandi saperi artigianali, la bellezza, la cultura, le tradizioni. L'Italia può e deve ripartire da qui, e non è poco. Se questo è il nostro patrimonio, la green economy è la ricetta migliore per valorizzarlo".

Una proposta trainata da un gruppo di imprese che continua a crescere. Ci sono aziende come la Angelantoni, una multinazionale tascabile che ha fatto del solare termodinamico un punto di forza delle rinnovabili made in Italy, accumulando brevetti che aprono le porte a una partecipazione vincente in Desertec, il programma europeo da 400 miliardi di euro nel versante Sud del Mediterraneo. Oppure, tra le piccole imprese a forte vocazione innovativa, la Fabbrica del sole di Arezzo, che ha costruito il primo idrogenodotto al mondo, e la cereria Evelino Terenzi, che nel settore delle candele ha invertito i flussi Roma - Pechino: mentre i container diretti verso l'Italia venivano riempiti di candele a basso costo e alto rischio sanitario, dalla Romagna verso la Cina per la prima volta hanno cominciato a viaggiare le piccole luci super garantite scelte dai monaci buddisti per accompagnarli durante le preghiere.

Poi ci sono distretti come quello della ceramica di Sassuolo, che ha superato una crisi ambientale gravissima investendo in innovazione tecnologica (le piastrelle antibatteriche) ed efficienza energetica: in 15 anni ha raddoppiato la produzione mantenendo costanti le emissioni di anidride carbonica. Settori come la chimica verde, che con la Novamont ha brevettato una plastica biodegradabile che ci libera dall'insulto dei brandelli di shopper nei boschi e nei fiumi e crea anche lavoro agricolo. Comparti come il riciclo, che complessivamente fa risparmiare al nostro paese 15 milioni di tonnellate di petrolio l'anno (equivalenti alla produzione di 10 centrali nucleari) e con la carta ha toccato il record del 78 per cento alimentando un'industria che per l'intero settore vale 40 mila posti di lavoro e 6,5 miliardi di fatturato.

"L'assieme di tutte queste capacità produttive, con le radici nella tradizione e la testa verso il futuro, rappresenta la possibilità concreta per l'Italia di vincere la sfida della competizione globale", conclude Realacci. "Questo è un periodo di sacrifici: bisogna, come ha cominciato a fare il governo Monti, frenare gli interessi corporativi. Ma ci vuole anche un sogno. Se lasciamo che il futuro si riduca a essere un luogo di privazioni allora è meglio gettare la spugna. Il futuro è il luogo della speranza. E questa speranza in Italia ha fondamenta salde".Fonte: La Repubblica.it

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